ART & CULTURE
Leonardo Chiari
2 July 2023
Lanfranco Raparo, La battaglia delle Scalelle, Tempera su carta, 1998, Marradi, Sala comunale “L. Raparo”
Il 24 luglio 1358 gli abitanti di Marradi videro giungere dal nord una colonna di fanti e cavalieri con stendardi, lance e armature scintillanti. Un condottiero a cavallo, imponente, armato, con la testa coperta da un elmo dal cui fondo filtravano appena due occhi blu, gesticolando guidava il corteo. Nel giro di poche ore, l’armata si addensò nella valle del fiume Lamone, a Biforco, sotto il sole cocente, ai piedi del Castello lontano. Erano migliaia: visti dall’alto, dai monti, sembravano una colonia di scarabei argentati accampati sopra una tovaglia verde.
Dapprima i contadini e i pastori impauriti abbandonarono i campi e gli animali, si chiusero nelle loro stamberghe, scrutando i forestieri dalle fessure delle finestre e dalle vette dei monti; poi qualcuno, più audace, si fece avanti, provò a tendere l’orecchio a qualche parola, cercò di interpretare i gesti dei militari. Come quando ci si accosta per la prima volta a un animale feroce, a un felino che sembra mansueto, i Marradesi tendevano appena la mano, pronti a ritrarla, agli invasori. Infine, con timore, forse con la speranza che se ne sarebbero andati presto, lasciarono acqua, cibo, vettovaglie alle soglie dell’accampamento, all’ingresso delle tende. Alcuni paesani aprirono persino le porte di casa in segno di ospitalità.
Ma presto si accorsero che gli stranieri non erano venuti in pace. Nelle ore successive, incuranti del paese che aveva offerto loro ospitalità, alcuni uomini dell’esercito cominciarono a deridere i contadini, a offenderli, a gridare insulti. Poi, come spesso accade, la situazione degenerò: vedendo che i villani del posto, spaventati, non opponevano resistenza, iniziarono a esigere tributi, a saccheggiare le case, a incendiare fienili per il solo gusto di vedere i contadini urlare. Infine, la tragedia: alcuni soldati ubriachi, nelle urla generali, picchiarono a sangue i popolani e stuprarono le loro donne. Tutto avveniva sotto gli occhi ferrati e impassibili del comandante.
Così gli abitanti di Marradi impararono a conoscere i loro invasori; impararono a conoscere il cavaliere venuto dalle terre del Nord. Era il terribile Conte Corrado Lando, condottiero germanico, venuto a capo di una spietata massa di mercenari, la Grande Compagnia. Fino all’ultima ora del loro funesto soggiorno, durante la notte, le schiere di mercenari del Conte Lando continuarono a straziare la terra dei Marradesi.
Il Castello di Biforco (detto anche “Castellone”), fotografia di Leonardo Chiari, 2023. Il Castello, ricordato anche da Dino Campana, è uno dei simboli di Marradi.
La mattina del 25 luglio 1358, alle prime luci dell’alba, il Conte Lando ordinò ai suoi uomini di mettersi in marcia alla volta di Campigno, a poche miglia da Biforco. Avrebbero attraversato il passo delle Scalelle, un passo stretto e impervio lungo il torrente Campigno, ai piedi delle montagne. Così si misero in marcia, come una lunga fila di termiti, lungo il fiume. Quando raggiunsero il passo delle Scalelle, il Conte Lando si tolse finalmente l’elmo per rifocillarsi un poco. Mentre mangiava, gli sembrò di vedere qualche strano riflesso nell’acqua del fiume; poi udì muoversi qualcosa dall’alto delle foreste; si rimise l’elmo, guardò in alto, e vide le cime dei monti coperte di contadini armati. Come un felino in agguato, li avevano attesi al varco. Li avevano attesi di notte nascosti sulle montagne, per combattere all’alba. La preda era divenuta predatore.
Con gli uomini c’erano anche le donne, pronte a vendicarsi del sopruso, fiere e ardite. Il popolo era armato solo di pietre, bastoni, vanghe, forconi; ma dalle vette incombevano sull’esercito mercenario. I soldati si strinsero allora attorno al loro condottiero; rizzarono le spade, udirono un segnale; ed ecco dall’alto delle balze staccarsi macigni e tronchi; giù per la china rotolarono velocissimi blocchi di pietra spinti dai paesani; volarono sassi contro gli elmi, piovvero pezzi d’albero, e vanghe tramutate in lance. Alcuni grossi macigni schiacciarono nel fondo cavalli e cavalieri. Il Conte Lando sguainò la spada urlando, il suo cavallo s’impennò, ma una pietra lo ferì alla testa, disarcionandolo. La linea delle truppe era infranta: stretti nella gola dei monti, come topi in gabbia, non potevano liberarsi dalla morsa dei contadini.
Quando il Conte Lando fu catturato, i mercenari, liberandosi delle pesanti armature, tentarono di fuggire nei boschi, lungo il fiume.
Commemorative sandstone marking the victory of the Marradesi against Count Lando and his men. (Campigno, Marradi)
Ma i contadini li inseguirono, li presero e li fecero prigionieri. Il grande esercito del Conte Lando era distrutto: mai era avvenuto che l’umile popolano vincesse in battaglia il guerriero superbo ammaestrato.
La notizia della sconfitta del Conte Lando fece il giro del mondo. Ne parlarono storici, strateghi, scrittori. I poeti, abituati a cantare di re e di imperatori, si trovarono per la prima volta a cantare le gesta di pastori e contadini. Un cantastorie medievale scrisse persino una ballata, Il lamento del Conte Lando. Ma il medioevo rimase impressionato soprattutto dal coraggio delle donne, tanto che Boccaccio, il celebre autore del Decameron, ricordò le donne Marradesi nel suo libro sulle donne più illustri di tutti i tempi, e le chiamò "fiere e ardite" al pari e più che gli uomini.
La stessa piazza di Marradi con la sua cupola rossa è intitolata a quel grande avvenimento: si chiama infatti "piazza Scalelle". Quasi due secoli dopo l’avvenimento, Machiavelli, il filosofo del Principe, chiamò gli abitanti di Marradi, in onore della battaglia delle Scalelle, "armigeri e fedeli". La battaglia delle Scalelle è ancora nel cuore dei Marradesi.
Oggi, nel luogo dove si pensa sia avvenuta la battaglia, sorge un monumento, una colonna, tra i monti, con una lapide scavata nella roccia, poco prima di Campigno. Sono questi i luoghi che Dino Campana, il poeta di Marradi, chiamò "barbarici," forse anche in memoria delle antiche battaglie dell’Appennino. Oggi quei monti sono cinti da una mite aura di pace, di silenzio, frammentata solo dal fruscio delle foreste, dall’acqua che scorre profonda. Ma su tutto incombe la Riva Bianca, la "montagna barbarica," che anticamente vide i contadini vincitori sulle terribili schiere del Conte Lando.
Riva Bianca, Località Campigno (Marradi), fotografia di Leonardo Chiari, 2023.
La Riva Bianca (la «Montagna barbarica») è ricordata spesso nei Canti Orfici di Dino Campana.